Fisico statunitense. Professore all'università di
Saint Louis e Chicago e accademico dei Lincei; scoprì il fenomeno
definito
effetto C. Premio Nobel per la fisica con C.T.R. Wilson nel 1927
(Wooster, Ohio 1892 - Berkeley, California 1962). ║
Effetto
C.: fenomeno per cui un fascio monocromatico
di raggi X, di lunghezza d'onda
λ
1 incidente
su un elemento cristallino a basso numero atomico e da esso diffuso, presenta
dopo la diffusione anche una seconda lunghezza
d'onda (λ) che
è approssimata bene dalla
formula:
λ
2
- λ
1 =

ove: h = costante di Planck =
6,635 · 10
-34 J sec; m
0 = massa dell'elettrone a
riposo = 9,1085 · 10
-28 g; c = velocità della luce;
θ = angolo
formato dal raggio diffuso con il raggio incidente. L'osservazione dell'effetto
C. (detto anche
effetto Compton-Debye) risale ad A. Compton
(1922), ma la spiegazione teorica fu enunciata dallo stesso Compton e da P.
Debye (indipendentemente) alcuni anni dopo; esso era però già
stato previsto teoricamente da J. Gray (1920). L'effetto
C. ha
grandissima importanza nella moderna fisica teorica, in quanto è una
delle esperienze più significative sull'interazione materia-radiazioni;
rappresenta cioè una prova del comportamento duale (corpuscolare e
ondulatorio) della materia e dell'energia. L'ipotesi di tale comportamento fu
infatti alla base della trattazione teorica di L. De Broglie e di E.
Schrödinger (verificata poi dalle esperienze di C. Davisson e L. Germer)
che nel 1927 e 1929 condusse all'equazione degli stati stazionari,
l'integrazione della quale porta alla risoluzione dei problemi base della fisica
nucleare. In realtà l'effetto
C. non può essere spiegato
appieno se non tenendo conto esplicitamente del dualismo di comportamento cui si
è accennato. Da un punto di vista ondulatorio, cioè delle
equazioni di Schrödinger, l'effetto può essere spiegato introducendo
un "reticolo di onde materiali" (cioè un insieme di elettroni) che nel
reticolo solido assume un movimento di recessione (o rinculo) con
velocità tale che la variazione della velocità del fotone di luce
(visto come un'onda) equivale a quella che si avrebbe per uno spostamento della
sorgente delle onde fotoniche, come in un effetto Doppler. Questo effetto -
molto facile da riscontrarsi in acustica - è la variazione di altezza di
una qualsiasi vibrazione per effetto del movimento della sorgente. Infatti se
essa si muove verso l'osservatore, la velocità delle onde è
maggiore (in quanto alla loro velocità propria si somma quella della
sorgente), onde la vibrazione è "compressa", cioè con lunghezza
d'onda minore (in tal caso un suono si ode più acuto). Se la sorgente si
allontana dall'osservatore, succede il contrario (la lunghezza d'onda della
vibrazione osservata è maggiore; nel caso di un suono questo appare
più grave). Secondo un punto di vista corpuscolare, l'effetto
C.
è dovuto all'interazione dei fotoni delle radiazioni incidente con gli
elettroni dell'elemento. In tali interazioni (simili a degli urti) il fotone
subisce un certo "rinculo" cioè una perdita di energia. Se hv
1
era l'energia che possedeva prima dell'urto, la nuova energia sarà
hv
2 minore della precedente. Essendo però la velocità
di un elettrone proporzionale alla sua energia, la velocità
diminuirà per effetto dell'urto stesso. Ma, come il fisico De Broglie
ipotizzò e molte esperienze (condotte nel decennio seguente e poi anche
dall'italiano E. Fermi) confermarono, ad ogni elettrone è legata una
vibrazione (che è l'aspetto ondulatorio della particella elettrone) con
lunghezza d'onda tanto maggiore quanto minore è l'energia posseduta
dall'elettrone stesso. Tale diminuzione di velocità da parte di alcuni
elettroni dà quindi origine a degli elettroni più lenti,
cioè a lunghezza d'onda maggiore. Lo stesso discorso vale però
anche per i fotoni costituenti la radiazione incidente. La radiazione diffusa
è quindi costituita da due tipi di fotoni, a diversa energia,
cui sono associate due lunghezze d'onda diverse
( λ
1 e
λ
2), fra le
quali esiste la relazione sopra scritta.